Richard Avedon

 In Arte, Marco Pipitone
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Avedon anticonformista, Avedon creativo oppure se preferite geniale.

Sono tante le suggestioni attraverso le quali è possibile evocare la figura a tutto tondo di un artista. Richard Avedon inizia la propria carriera come fotografo di moda. A Parigi nel 1946, contribuendo a ricostruire l’immagine della capitale dell’haute-couture. Le modelle, fino a quel momento utilizzate come semplici “appendiabiti”, diventano nei suoi scatti persone reali. La potenza espressiva del corpo in movimento è per il giovane fotografo una folgorazione, un elemento fondamentale per ridefinire i canoni della fotografia di quel tempo.

Riguardo al proprio lavoro l’artista afferma: “Vi è sempre una distinzione tra il mondo della moda e quello che chiamo il mio lavoro più profondo. Il mondo della moda mi dà da vivere. Non lo critico; è un piacere guadagnarsi da vivere in questa maniera… Poi c’è il piacere più profondo che deriva dalla realizzazione dei miei ritratti. Non è importante quel che penso di essere: mi considero un autore di ritratti fotografici“. Da queste affermazioni traspare la netta distinzione che egli faceva tra la cosiddetta “fotografia non-seria” e quella “seria”. Avedon cavalca gli anni ‘50 e ‘60 della moda lasciando una impronta indelebile sulle modalità che regolavano l’immagine; inoltre è libero di dedicarsi allo studio sul ritratto, arrivando a concepire vere e proprie opere d’arte che ne hanno elevato l’immagine da fotografo ad artista a tutto tondo, amato e rispettato in quanto capace di traghettare la fotografia da puro e semplice esercizio di stile a vera e propria forma d’arte.

Le immagini dei suoi ritratti sono tutte rigorosamente in bianco e nero, su sfondo bianco o anche rarefatto e sfumato. Avedon si concentra sui dettagli; al contempo la neutralità del fondale appiattisce il volto, consentendo di esplorarne tutti i particolari. Il fotografo sostiene: “Lo sfondo bianco isola il soggetto da se stesso, consentendoti di esplorare la geografia del viso, i continenti inesplorati del volto umano“.

I ritratti al padre malato esemplificano il concetto e sono una testimonianza del progredire della malattia, dell’ineluttabilità di una sorte segnata dal  cancro che divora e lentamente consuma. Immagini scattate tra le pieghe del tempo, filtrate da sentimenti imperscrutabili che vedono il vecchio genitore reclinare sempre più il capo e come un fiore senz’acqua poco a poco appassire.

Avedon più tardi disse che non si trattava di semplice documentazione: “Questo sul muro non è mio padre. Si tratta di fotografie di mio padre. Sono il modo in cui io esprimo i miei sentimenti verso di lui e in cui lui si esprime verso di me, il modo in cui reagisce all’essere fotografato. Non è la realtà: si tratta, in qualche maniera, di un qualcosa di artefatto“.

Le sconvolgenti fotografie al padre morente mettono in mostra in modo sistematico e deliberato una percezione fredda e distaccata del soggetto.

Nella collezione di ritratti raccolti nel libro “In the American West” Avedon vuole andare oltre: scruta ed osserva l’America lontana dallo starsystem, quella che tra il 1979 e il 1984 si riscopre dentro una crisi profonda, dovuta alla chiusura delle miniere ed alla conseguente disperazione di intere cittadine. Sono figure rubate alla quotidianità, il bracciante, il benzinaio, il piccolo furfante. Avedon le fotografa a modo suo, estrapolandole dal proprio contesto e mettendole contro uno sfondo bianco, cercando di evidenziare i particolari della figura. “Non si tratta del West. Potrei aver scattato queste immagini in qualsiasi parte del mondo. Si tratta di ritratti di persone, come tutte le mie opere. Dimenticate il West. L’opera si intitola Nel West americano e non Il West americano“.

I critici di Avedon sostengono che le intuizioni del fotografo fossero null’altro che una ricerca volta a ridurre quei visi a puri e semplici dati anatomici. Sempre secondo i suoi detrattori una indagine apparentemente disinteressata veniva in realtà ottenuta manipolando il soggetto in questione. Il Duca e la Duchessa di Windsor nella foto che li ritrae prendono le distanze dal mondo, quasi volessero scappare. L’artista Diane Arbus racconta che Avedon ottenne questo effetto raccontando loro che il taxi con il quale era arrivato aveva travolto un cane. Il disgusto dei reali nella foto era dovuto dunque all’escamotage che il fotografo aveva usato. Avedon lavorava sui tempi, chiudendo l’otturatore della sua Rolley una frazione di secondo prima dell’effettivo movimento. È il caso della celebre foto scattata a Nastassja Kinsky, sdraiata con un boa disteso sul proprio corpo nudo, in cui il fotografo riesce a cogliere il momento in cui la lingua del serpente “bacia” l’orecchio dell’attrice.

Avedon ha fotografato personaggi facoltosi, letterati inarrivabili, ma ha anche ritratto in grandi pannelli l’ambasciata americana in Vietnam nel 1969. Ha reso celebri i protagonisti della politica washingtoniana, senza dimenticare i grandi reportage (fra tutti quello sulle strade di Napoli e di Palermo). Impossibile infine non ricordare tutti i personaggi dellostarsystem: da Bob Dylan a Bjork, icone della musica ma anche dello spettacolo come Marylin Monroe.

Avedon con i soggetti che fotografava a prescindere dalla caratura del personaggio cercava un rapporto esclusivo, che iniziasse e finisse nel tempo di uno scatto fotografico da regalare ai posteri. Il fotografo newyorkese attraverso il proprio lavoro riuscì a mettere d’accordo critica e pubblico sul fatto che la sua opera fosse difficilmente scindibile dalla storia dell’arte.

Richard Avedon muore il 1 ottobre 2004 a San Antonio in Texas per un ictus cerebrale.

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