Formazione tanatologica e Covid-19

 In Marco Pipitone, Notizie in breve

È uscita sul Blog Si può dire morte (diretto da Marina Sozzi) un’intervista alla Nostra Maria Angela sulla Formazione tanatologica per operatori ai tempi del Covid-19.

Riportiamo fedelmente l’approfondimento condotto da Davide Sisto.

Cara Maria Angela, tenuto conto della tua esperienza decennale, come pensi sia cambiata la formazione degli operatori funebri durante il Covid-19?

La formazione dovrebbe essere un aspetto imprescindibile e preliminare rispetto a qualsiasi tipo di attività, in particolar modo per quanto riguarda la delicata gestione dei servizi funerari. Durante il Covid-19, i limiti dettati dalle disposizioni normative per limitare il contagio, hanno però fortemente condizionato i riti del commiato. Gli operatori funerari hanno avuto spazi temporali molto ridotti per adeguarsi alle repentine chiusure e sospensioni dei passaggi rituali destinati ad accogliere i familiari, con sensibilità e rispetto. La mancanza di queste basilari azioni ha inciso sulle modalità di preparazione del defunto, privato anche del rito della vestizione o di altra cerimonia alternativa. L’impossibilità per i familiari di vedere e toccare il corpo del defunto, perché la bara, per ineludibili motivi sanitari, andava chiusa in fretta, ha determinato una sorta di commiato sospeso, quasi pietrificato.

Il non poter fruire delle consuete forme del rito ha determinato nell’operatore funerario e nel cerimoniere la ricerca di soluzioni alternative, nel pensare a modalità che permettessero di restituire quei tasselli di vita sospesi, attivando una dimensione creativa e sempre più personalizza del rito, in accordo con le esigenze dei familiari.

In questa fase, anche la formazione ha dovuto, per forza di cose, essere adattata a tali esigenze. Prima di tutto, con la preparazione di corsi online, il cui positivo riscontro da parte degli operatori funerari ha consentito di attivare moduli formativi destinati a dare immediata risposta alle esigenze professionali. Poi, con la creazione di schemi rituali, adattabili in base alle necessità dei familiari, e di indicazioni per preparare riti di congedo in streaming.

Un aspetto importante della formazione riguarda i partecipanti ai corsi online, poiché nei contesti di cura, all’interno dei gruppi di lavoro, si è avvertito il bisogno, anche per chi non rivestiva il ruolo di cerimoniere, di riservare uno spazio e un tempo di ripensamento virtuale; una sorta di contenitore rituale in cui far rivivere le esperienze personali per restituire il nome e la storia di vita alle numerose persone morte in condizioni di isolamento e anonimato, per rendere possibile la condivisione in gruppo di riti di congedo.

Collegandomi alla precedente domanda, come pensi sia cambiato in generale, dal tuo punto di vista di tanatologa, il nostro approccio alla morte con il Covid-19 e quali pensi siano stati gli atteggiamenti sociali non adatti, sulla base di una generale impreparazione a pensare alla morte?

Se il rito funebre ha costituito il momento cardine di agevolazione nella fase di accompagnamento del morente, nell’attuale era del Covid-19 la fase di elaborazione del lutto inizia senza un abbraccio, con la solitudine dei familiari, inasprita dall’impossibilità di stare accanto ai familiari ospedalizzati e dove l’assenza dei passaggi fondamentali di un rituale priva del racconto delle storie di vita l’identità delle persone.

I tentativi di far scomparire la morte, di condannarla al vuoto culturale, con conseguenti profondi stravolgimenti, hanno minato l’equilibrio e la stabilità delle cerimonie funebri, già incrinata dalla progressiva crisi dei riti comunitari tradizionali.

Gli aspetti più significativi e, al contempo, impietosi hanno riguardato le circostanze del morire e la perdita di significato e di utilità del rito, una sorta di lutto nel lutto, in cui la separazione dal momento del ricovero ospedaliero, l’imposizione delle distanze, la privazione del funerale dopo il decesso hanno paralizzato il riconoscimento del diritto al lutto.

La mancanza delle fasi rituali di accompagnamento del defunto non inibisce il percorso di elaborazione del lutto, che avviene comunque, anche se il processo inconscio di guarigione della ferita psicologica viene diluito e dilatato nel tempo.

L’abitudine culturale a voler escludere e rimuovere il pensiero della morte dalla quotidianità può comportare vere e proprie manifestazioni di paura, come hanno dimostrato le reazioni alla quarantena da parte dei social network – a volte eccessive e irrazionali. Dare uno spazio più consistente alle attività che fanno parte della Death Education significa anche essere consapevoli della propria mortalità, e quindi preparati a disporre del testamento biologico e digitale.

Se, da un lato, la potenzialità degli strumenti digitali, con l’incremento dei funerali telematici, ha costituito e costituisce un’efficace soluzione a superare la carenza degli aspetti rituali tradizionali, dall’altro, l’utilizzo inadeguato e sconsiderato di questi sistemi potrebbe vanificare il significato della cerimonia, rendendo – qualora si utilizzi lo smartphone o si entri in un social network – una patologica sovrapposizione del passato al presente, riproducendo, in continuazione, il saluto d’addio del rito funebre, e quindi rendendo l’elaborazione del lutto più difficile e faticosa di quanto già non lo sia senza la cerimonia funebre.

Infine, sulla base delle tue pubblicazioni per i bambini, ti chiederei due brevi considerazioni sull’educazione infantile alla morte, specie dopo questa lunga pandemia.

Le ultime generazioni degli adulti sono vissute in ambienti in cui ogni aspetto legato alla morte ed al morire è passato interamente ai protocolli degli ospedali e delle case funerarie, privando l’ambiente familiare di questa particolare esperienza. E come gli adulti, anche i bambini, che non hanno visto morire i nonni, i parenti o i conoscenti, non sono in grado di gestire tali eventi.

Il non sapere cosa fare, anche dal solo punto di vista rituale, quando qualcuno muore, ha attivato stravaganti elaborazioni psicologiche, non realistiche, che non tengono conto dei cambiamenti avvenuti e che continuano a verificarsi: ad esempio quella, assolutamente non veritiera, per la quale i bambini non sono in grado di comprendere che cosa significhi morire e, se avessero anche la capacità di comprenderne gli effetti, ne rimarrebbero traumatizzati.

I bambini, che di fronte all’evento luttuoso sono più in sintonia di quanto non si creda con i sentimenti degli adulti, devono invece essere coinvolti nell’esprimere i pensieri e raccontare i loro ricordi legati alla persona che non è più.

È fondamentale, per l’educatore o l’adulto, per l’operatore rituale e il volontario, introdurre e gestire l’argomento morte sulla base di specifiche competenze. Con il ricorso alla Death Education è possibile introdurre una modalità educativa, organizzata su diversi livelli di apprendimento, con la finalità di reinserire il concetto di morte nella autenticità della vita, insinuando nei bambini, adolescenti e adulti la capacità di comprendere che cosa significa vivere e dover morire.

È stato possibile attivare l’educazione del bambino alla morte, anche on line, laddove docenti di scuola e famiglie siano stati in grado di considerarne il valore e l’efficacia.

In questo periodo di cambiamenti e trasformazioni, il momento personalizzante ha necessità ora di creare, seppur a distanza, le condizioni per convertire in parole ed in azioni il dolore e la sofferenza, anche per i più giovani.

Poiché non esistono modalità particolari di commemorazione, i rituali possono essere resi attivi in qualsiasi momento, anche da casa, individuando lo spazio o l’ambiente più consono per rendere solenne quel momento.

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