“[…] C’era una busta poggiata sulla mensola del caminetto, in soggiorno. Mi piegai in avanti per prenderla e con la coda dell’occhio lo vidi: era inginocchiato, in cucina. Tirai un sospiro di sollievo, contenta che fosse ancora là. “E allora che stai facendo?” Mossi un passo verso di lui, pronta a parlare. Aveva il capo reclinato e le mani posate sulla lavatrice. Lo fissai, era così rigido. Poi la corda: non avevo notato la corda. La corda che scendeva dalla rastrelliera gli passava intorno al collo”. […]
Cfr. “Touching from a Distance – Ian Curtis & Joy Division” di Deborah Curtis, ed. Faber & Faber.
Ricorre proprio oggi il quarantennale della scomparsa di Ian Curtis, leader dei Joy Division. Il gruppo di Manchester, per anni considerato patrimonio esclusivo del sottobosco musicale post-punk, nel tempo, ha conosciuto una meritata esposizione al grande pubblico, divenendo punto di riferimento per la musica rock.
Ian Curtis lavorava all’ufficio di collocamento di Macclesfield, sobborgo di Manchester. Era un funzionario assistente al recupero delle persone disabili, operava a stretto contatto con i portatori di handicap, per accertare che usufruissero delle agevolazioni cui avevano diritto. Si impegnava e aveva consapevolezza di essere fortunato, eppure era sostenuto dalla profonda convinzione che l’esistenza potesse riservare altro, rispetto ad un buon posto fisso di lavoro e ad una condotta identica a quella dei vicini di casa. La musica era la sua grande occasione, l’obiettivo al quale anelare per sfuggire alla vita ordinaria.
Lasciando da parte la poetica legata all’immagine dell’artista inquieto si scopre che i tormenti di Curtis erano sostenuti da una visione lucida e razionale; era determinato, concentrato, contrariamente a quanto si dice, voleva a tutti i costi raggiungere il successo. Per registrare il primo Ep dei Joy Division (An Ideal for Leaving), convinse il direttore di Banca a versargli sul conto 400 sterline. Lo convinse dicendogli che quel prestito sarebbe servito a pagare il nuovo soggiorno di casa. L’esordio discografico venne registrato agli studi di Pennine Sound di Oldham, nel dicembre del 1977. Un disco “cucito a mano”, la cui manifattura è riscontrabile nell’intera operazione: i suoni, la grafica, persino le copie vennero imbustate dai membri del gruppo. Inutile sottolineare come le prime tirature del vinile abbiano oggi un valore inestimabile. Le immagini che ritraggono Ian Curtis sono serie, contrite, corrucciate eppure il cantante aveva una personalità cangiante; la timidezza che lo caratterizzava nella vita, una volta salito sul palco, lasciava il posto al furore assoluto delle sue performance: “La sua danza, era un’angosciante parodia delle sue crisi – dice la moglie – le braccia si muovevano in modo convulso, avvolgendo una spola invisibile, e gli scatti legnosi delle gambe riproducevano i movimenti involontari compiuti durante gli attacchi. Alla messa in scena mancavano solo le scosse al capo”.
Per ascoltare dal vivo ufficialmente i Joy Division, occorre aspettare Il 25 gennaio del 1978; il live ebbe luogo al Pips di Manchester, davanti a pochi spettatori. Per quell’esibizione, il gruppo, ricevette sessanta sterline. Ma era soltanto una questione di tempo, la loro aura cominciava ad espandersi, oltretutto in un contesto iridescente, quale poteva essere Manchester in quel momento, ovvero una piazza musicalmente in tumulto: Joy Division, Magazine, A Certain Ratio, Buzzcooks, erano solo alcuni dei nomi di riferimento, in un contesto estremamente vivo e pulsante. La discografia dei Joy Division è chiara, sebbene esistano bootleg (Warsaw), live ufficiosi (Les Bains Douches, Paradiso), raccolte postume (Still 1981, Substance 1988 per Factory Records), i dischi ufficiali sono soltanto due: Unknown Pleasures (1979) e Closer (1980), ovvero monumenti dedicati alla passione, all’energia, alla disperazione catartica. Ancor prima di ascoltarli, occorre guardarli; le copertine capolavoro (a cura di Peter Saville) sono una dichiarazione di intenti, i dischi – come ho già scritto – sono supportati da suoni grezzi e compiuti, perfetti nel fare riferimento alla cupa desolazione evocata nei brani, ovvero parole nelle quali, a tratti – tagliente e lancinante – compare la speranza. Tuttavia, è solo una mera illusione, situata negli abissi più profondi e impenetrabili dell’esistenza. Un’esistenza dalla quale il cantante sceglierà inesorabilmente di separarsi il 18 maggio del 1980.