La Death Education, intervista a Maria Angela Gelati

 In Interviste, Marco Pipitone, Maria Angela Gelati, Notizie in breve

È uscita sul sito www.soproxi.com, un’intervista alla Nostra Maria Angela sulla Death Education (Educazione alla Morte).

Riportiamo fedelmente l’approfondimento condotto dal Dottor Paolo Scocco.

Dottssa Gelati,

D1: Perché è così difficile parlare di morte?

R1: È naturale ed inevitabile essere disorientati di fronte alla morte, in quanto per la nostra natura di esseri umani ci si ritrova a essere terribilmente smarriti e sempre più impreparati al riguardo. Smarrimento che è il risultato di un’epoca in cui il cercare di nascondere ed occultare tutto quanto possa riguardare il morire – la cosiddetta negazione della morte – ha caratterizzato più generazioni, determinando, specialmente nell’ambito della vita familiare, una latente inconsapevolezza.

In passato, il fine vita non solo coinvolgeva ogni componente della famiglia, ma anche, ed in tutte le sue implicazioni, la comunità di appartenenza. Dal secondo dopoguerra  in poi, si è assistito ad uno stravolgimento di questa modalità, con il conseguente affidamento alle strutture sanitarie, delle correlate necessarie esigenze.

D2: Cos’è la Death Education?

R2: Per rispondere a questa domanda occorre fare una premessa. Gli adulti delle ultime generazioni sono vissuti in ambienti in cui già ogni aspetto legato alla morte ed al morire è passato interamente ai protocolli degli ospedali, privando l’ambiente familiare di questa particolare esperienza. E come gli adulti, anche i bambini, che non hanno visto morire i nonni, i parenti o i conoscenti, non sono in grado di gestire tali eventi.

Spesso si dimentica che la paura gioca un ruolo fondamentale nella formazione degli atteggiamenti e dei comportamenti delle persone, in particolare dei giovani e dei bambini, e che alla pari delle altre emozioni è un aspetto essenziale e condizionante della vita.

Il non sapere cosa fare, anche dal solo punto di vista rituale, quando qualcuno muore, ha attivato delle elaborazioni psicologiche stravaganti, non realistiche, che non tengono conto dei cambiamenti avvenuti e che continuano a verificarsi: ad esempio quella, assolutamente non veritiera, per la quale i bambini non sono in grado di comprendere che cosa significhi morire e, se avessero anche la capacità di comprenderne gli effetti, ne rimarrebbero traumatizzati.

È fondamentale, per l’educatore o l’adulto, introdurre e gestire l’argomento morte sulla base di specifiche competenze. Così con  una modalità educativa, organizzata su diversi livelli di apprendimento – definita come Death Education – viene reinserito il concetto di morte nella autenticità della vita, riattribuendo al linguaggio corrente il senso del vivere e del morire, determinando nei bambini, adolescenti e adulti la capacità di comprendere che cosa significa vivere e dover morire.

D3: Quali sono gli obiettivi della Death Education?

R3: La Death Education è finalizzata al raggiungimento di obiettivi generali e specifici, e può essere attivata in base a livelli diversi di prevenzione.

Gli obiettivi generali della Death Education si identificano con l’incremento della riflessione sul valore della vita, mediante l’elaborazione e la condivisione dei pensieri sul tema della morte; con l’individuazione degli strumenti di sostegno più consoni per limitare il senso di angoscia che può derivare dalla censura imposta alle tematiche collegate al concetto di morte; con l’incremento dei rapporti tra scuola-famiglia e territorio.

Strumenti meno generici e più peculiari della Death Education aiutano la persona a sviluppare e rafforzare la resilienza.

Boris Cyrulnik, rappresenta la resilienza come la capacità che ciascuno possiede, in modo e misura variabili, di crearsi una via di fuga, superando così i traumi che ci affliggono. Qualcosa di simile accade agli animali, quando sopraggiunge un evento a scardinare le loro abituali certezze, ecco che, allora, alle ignare creature spetta il compito di riorganizzarsi. Definita comestrategia del brutto anatroccolo, la resilienza è la capacità di curare gli eventi traumatici senza negarli: prima che le difficoltà abbiano la meglio, tanto vale contare sulle proprie limitate risorse, trasformandole, inaspettatamente, in privilegi (1).

Un altro obiettivo specifico è quello di favorire lo sviluppo emozionale e razionale tramite profondi ed autentici legami affettivi basati sul dialogo empatico. Questo implica un accompagnamento alla scoperta e al riconoscimento delle emozioni scaturite dalle esperienze interiori e, quindi, ad un appropriarsi del proprio vissuto. In questo modo, la Death Educationincentiva un atteggiamento proattivo nei confronti dell’esistenza, grazie al quale la vita viene rivalutata e riassaporata in una comunitaria condivisione di sentimenti.

D4: In che modo la Death Education può contribuire alla prevenzione del suicidio?

R4: Poiché la capacità di rapportarsi alla morte è un indice di conoscenza dell’aspetto evolutivo e poiché è auspicabile permettere a tutti di raggiungere un concetto maturo di morte, la Death Education viene indicata come necessaria ed inevitabile risorsa per garantire una stabile salute mentale dei futuri adulti.

In particolare la Death Education, imponendo la realizzazione di un serio esame della realtà, previene comportamenti a rischio. In accordo con quanto affermano alcuni studiosi  (2, 3) questo tipo di educazione deve svolgersi in un clima sicuro e di supporto, in grado di far sentire i partecipanti liberi e allo stesso tempo sereni di poter esprimere le proprie emozioni ed esperienze relative alla morte, in un ambiente che le accolga e le sappia gestire in modo adeguato (safe spaces).

L’adolescenza è il tempo in cui emergono le problematiche di carattere esistenziale, delle origini e della fine della vita,  di che cosa significa nascere e dover morire; è l’età in cui “le capacità ipotetiche si dispiegano fino alla dimensione astratta – ovvero sino a raggiungere il ragionamento ontologico” e la “dimensione dell’universalità investe la soggettività, ossia “la mia morte”(4).

D5: La Death Education può aiutare chi vive un lutto a ritrovare un nuovo equilibrio? Come?

R5: Soprattutto in Scandinavia e nei paesi anglosassoni, è convinzione di alcuni ricercatori (5) che la capacità di rapportarsi alla perdita sia evolutiva e che sia possibile educare tutti a raggiungerla, incrementando l’esperienza partecipata nel dialogo del senso del morire, in cui ciascuno possa misurarsi con la consapevolezza del limite e con le forti resistenze innalzate contro l’opportunità di pensare al proprio essere mortali. La pratica della Death Education infatti punta a far emergere i sentimenti di angoscia verso la morte e il morire che, di norma, rimangono repressi, perché privi di un dialogo, all’interno del quale indirizzare la ricerca di senso che trasformi la paura in riflessione.

I percorsi di Death Education possono essere molto diversi. Se non vi sono lutti recenti si procede secondo una direzione, altrimenti si dovrà optare per una destinazione diversa.

Ogni bambino, ragazzo o giovane adulto reagisce alla morte ed elabora il lutto in una maniera soggettiva che rimanda – per alcuni processi ed emozioni – a tipologie riconoscibili e per altre a specificità legate alle caratteristiche personali di ciascuno. Tuttavia è innegabile che alcune variabili incidono più di altre nel facilitare o nel rendere più doloroso e complesso il lavoro del lutto. Non si può sottovalutare il ruolo svolto dall’età, dalla natura del legame con la persona defunta, dalle circostanze in cui è avvenuto l’evento luttuoso, dalla capacità del contesto accudente di offrire protezione. Il mondo interno ed esterno di un bambino, di un adolescente, di un giovane adulto è molto più complesso ed articolato di quanto non si creda, dovendo valutarsi e considerare con attenzione, anche nel momento del commiato, la reazione e preoccupazione dei familiari, il cambiamento delle abitudini che una lunga malattia può provocare o che sopraggiunge dopo una morte improvvisa, l’intensità dei sentimenti ambivalenti verso chi è morto e ha tradito, con la morte, i progetti che avrebbero dovuto essere condivisi e la felicità promessa.

D6: Esistono dei progetti specifici di educazione sulla morte?

R6: Sono diversi e differenti i progetti proposti nelle scuole di ogni ordine e grado, come “Aldiquà-connessi alla vita” in collaborazione con il Master Death Studies and the End of Life (Università degli Studi di Padova), oppure “Non ho più paura” già realizzato nella Scuola dell’Infanzia Chizzolini di Ospitaletto (Brescia), e ancora “I luoghi dell’attraversamento” già concretizzato a Bari-Bitonto, oppure “Il bruco e la farfalla” a cura dell’Associazione Tutto è Vita.

Alcuni di questi progetti sono stati premiati, come Le parole per dirlo. A scuola di Death Education, realizzato dalla Scuola Media Vivaldi di Alessandria, in collaborazione con l’Associazione Stare Bene Insieme, progetto che ha vinto, nel 2015, il Premio Centro Studi Cultura e Società della Regione Piemonte.

Grazie Dottssa Gelati, per questo illuminante contributo.

(1) Cyrulnik B., I brutti anatroccoli. Le paure ci aiutano a crescere, Frassinelli, Milano, 2002

(2) Edgar L. V., Howard-Hamilton M., Noncrisis death education in the elementary school, in “Elementary School Guidance & Counseling”, 29, 1, 1994, pp. 38-46

(3) Hopkins D., A Teacher’s Guide to Classroom Research, Open University Press, London, 2002

(4) Testoni I., Zamperini A., Il mantello di Mefistofele. Psicologia sociale e processi di formazione, Torino, Utet, 2003

(5) Moss B.R., Death studies at university: new approaches to teaching and learning, in “Mortality”, 5, 2, 2000, pp. 205-214

Pubblicato in: Expert Corner
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